Le Muse del Castello Visconteo a Voghera
Nel Castello Visconteo di Voghera si cela un ciclo pittorico di rara eleganza e misteriosa intensità: Le Muse, attribuite alla mano raffinata di Bartolomeo Suardi, detto Bramantino (nato a Milano nel 1465 circa - morto a Milano nel 1530), pittore e architetto tra i più enigmatici del Rinascimento italiano. Il Bramantino elaborò in forme lombarde la monumentalità del Bramante, giungendo a rappresentazioni di rarefatto e severo classicismo. Il ciclo si articola in una serie di affreschi, custoditi nella cosiddetta Sala delle Muse (foto1).
Foto 1
Le figure si stagliano su uno sfondo architettonico classico, scandito da lesene, nicchie e motivi decorativi che richiamano il gusto antiquario tipico della cultura umanistica di fine Quattrocento. Si riconoscono: Erato, musa della lirica; Euterpe, dea della poesia e dei flautisti; Talia, musa della commedia, ridotta al solo busto; Melpomene, musa della tragedia, di cui si conserva solo il busto ammantato di nero e il volto avvolto in bende bianche; Urania, musa dell'astronomia e della geometria. Tre muse non identificate e uno sfondo architettonico completano il ciclo (cfr. s. Web Lombardia Beni Culturali).
Le Muse appaiono ieratiche e silenziose, immerse in un’atmosfera sospesa, quasi metafisica: volti diafani e solenni, occhi che guardano altrove, corpi slanciati, panneggi rigorosi. Vi è una stilizzazione formale che, pur aderendo ai dettami rinascimentali di equilibrio e proporzione, anticipa un sentire più austero, quasi ascetico. L’attribuzione a Bramantino è fondata su analogie stilistiche con altre sue opere certe, come la Pala di Sant’Ambrogio o i suoi disegni architettonici, dove si ritrova la medesima cifra di compostezza solenne e gusto per la geometria. Le figure delle Muse condividono con l’opera bramantesca (da cui il soprannome "Bramantino") una visione dello spazio come misura e ordine, ma sono percorse anche da una sottile inquietudine, una sorta di distacco dal mondo terreno che le rende quasi “icone” intellettuali. Il ciclo può essere letto come una celebrazione dell’intelletto e delle arti liberali, in linea con il pensiero umanistico del tempo. Le Muse non sono qui solo ornamento mitologico, ma incarnazioni vive delle forze che guidano la conoscenza e la creazione artistica. La loro presenza nel contesto di un castello visconteo - spazio di potere, ma anche di cultura cortigiana - testimonia il desiderio della committenza di legarsi a ideali alti e immortali. Visitare la Sala delle Muse di Voghera significa entrare in un mondo rarefatto, dove la pittura si fa filosofia silenziosa. Le opere emanano una bellezza sobria, severa, quasi matematica, tipica del Rinascimento lombardo più intellettuale. Ma dietro ogni volto immobile e ogni gesto misurato, si avverte l’eco di un’armonia perduta, di un tempo in cui l’arte era ancora capace di rivelare il divino attraverso la forma.
Meritano un commento e una recensione due delle meglio conservate dell’antica dimora: Urania ed Erato.
Urania, Musa dell’Astronomia e della Geometria (foto 2) è riconoscibile per l’abito ampio, quasi sacro, di un bianco puro, e per il bastone che indica il cielo e sostiene uno strumento sferico di calcolo geometrico. Sopra il capo compare ancora il suo nome, tracciato con lettere che si intravedono fra i lacerti dell’affresco, come nelle altre Muse.
Foto 2
Urania è inserita in una nicchia dipinta a trompe-l’œil, incorniciata da lesene bianche e basamenti di finto porfido rosso, su uno sfondo di cielo argenteo e architetture urbane geometriche. La posa è frontale e ieratica: la figura non è intenta a misurare ma impone la geometria come principio visibile, quasi una scultura vivente sospesa in un tempo ideale. Il panneggio è rigorosamente modulato, con chiaroscuri netti che definiscono volumi compatti; ogni piega sta al suo posto, contribuendo alla gravitas della figura. L’aspetto generale richiama la meditazione estetica brunelleschiana e la solidità architettonica tanto cara al Bramantino. Urania incarna la fusione tra astronomia e geometria, disegnando un ideale elevato in cui matematica e sapere celeste si incontrano. Il suo bastone puntato al cielo non è uno strumento pratico ma un gesto simbolico: una ricerca verso l’armonia dell’universo. L’affresco suggerisce una visione umanistica dello studio: non mera osservazione, ma visione intellettuale e contemplazione del cosmo, in cui l’astronomia è disciplina dell’anima più che mera scienza pratica. Collocata insieme alle altre Muse, Urania funge da essenziale controparte intellettuale: mentre Euterpe rappresenta la musica, Urania rappresenta la conoscenza matematica e astronomica, espressione di un sapere che aspira al divino. La sua presenza in questa sequenza conferisce al ciclo un’impronta profondamente erudita e filosofica: le Muse non ornano, ma rendono manifesto un progetto culturale del committente. In conclusione, l’immagine di Urania nel Castello Visconteo di Voghera è un esempio magistrale dello stile bramantesco: austero, silenzioso, concettuale. La Musa non guarda il mondo: lo misura, lo definisce e ne rivela la struttura segreta. Nell’equilibrio severo e nella sobrietà cromatica emerge un ideale rinascimentale elevato: l’arte come strumento di pensiero razionale e contemplazione. L’Urania del Castello Visconteo di Voghera si distingue pertanto nel panorama rinascimentale per la sua estrema astrazione e severità simbolica. Dove altre rappresentazioni mostrano la Musa come figura attiva o idealizzata, quella bramantiniana è un simbolo silenzioso e impassibile dell’ordine cosmico. A mio avviso è la forma più concettuale e metafisica dell’intero ciclo delle Muse rinascimentali in Italia.
La figura di Erato (foto 3) è colta in una posa statica e monumentale, seduta in trono su una pedana marmorea, isolata su fondo chiaro incorniciato da un riquadro color porpora scuro.
Foto 3
Sopra di lei, un'iscrizione in maiuscole eleganti ne rivela il nome: ERATON, mentre nella fascia superiore si legge un distico latino in capitali:
"PLECTRA DECENS ERATON GERIT HAEC DEA NOMEN AMORIS / DISIECTA ET TABULIS OMNIA SIGNA NOTAT", che potremmo tradurre: “Erato, che porta con grazia il plettro, è la dea dal nome d’amore. Tutti i segni sparsi li raccoglie e segna sulle tavole.”
Erato ha una fisicità robusta ma armoniosa. La postura è solenne e centrale, in perfetto asse simmetrico. Il suo volto è leggermente ruotato verso destra, lo sguardo rivolto verso l’alto, distante, quasi trasognato. La bocca socchiusa sembra sul punto di parlare o cantare. I capelli sono sciolti, dorati e mossi dal vento, un dettaglio che rompe la staticità e dona dinamismo e vitalità alla figura.
Indossa un’ampia veste color rosato che fascia il busto con una cintura alta, mentre il mantello verde cupo le ricade sulle gambe: abbigliamento sobrio ma curato, privo di eccessi ornamentali.
Sorregge un liuto, simbolo della poesia musicale, amorosa e ispirata. Lo strumento è reso con un tratto plastico e quasi scultoreo. A destra della figura si intravedono disegni geometrici e strumenti da disegno, come un compasso e tavole grafiche, che arricchiscono l’iconografia in modo inatteso per una Musa dell’amore. Questi strumenti probabilmente alludono all’armonia matematica della musica e al rigore compositivo dell’arte poetica, come se l’amore non fosse solo passione, ma anche misura e proporzione. La figura di Erato è costruita secondo il consueto linguaggio plastico di Bramantino: volumi solidi, panneggio geometrico, luci tagliate.
Il fondo architettonico è assente, sostituito da una quinta piatta e astratta: una scelta che sottolinea l’astrazione intellettuale della rappresentazione.
Il rigore formale è evidente anche nella disposizione simmetrica degli oggetti e nella posizione delle braccia, che creano una struttura quasi triangolare.
Erato, Musa dell’amore, non è dipinta con sensualità o dolcezza, ma con una dignità severa. È una donna-idea, più che una figura narrativa. Il suo sguardo perso nel vuoto suggerisce l’estasi dell’ispirazione poetica, ma la sua fisicità stabile e la presenza degli strumenti tecnici la ancorano a una concezione razionale e alta dell’arte amorosa: non sentimentalismo, ma ars poetica.
Nel contesto della Sala delle Muse di Voghera, Erato rappresenta l'elemento emotivo-intellettuale del ciclo: l'amore non inteso come desiderio carnale, ma come linguaggio ordinato e nobile, capace di fondere sentimento e logica. Questo la rende complementare ad Urania (la scienza celeste) ed Euterpe (la musica), in un sistema simbolico complesso in cui le Muse diventano figure di una filosofia dell’arte totale.
Giuseppe Frascaroli